Cioran ventiduenne soffre di insonnia e per non suicidarsi decide di scrivere questo saggio filosofico che riflette in modo cinico, a tratti ironico, ma anche direi quasi terapeutico, sui temi più respingenti cui possiate cercare di (non) pensare: sofferenza, disperazione, morte, malinconia, esistenza.
Bellissimo ma non ci vivrei.
Avrei voluto sottolineare metà libro ma, ahimè, l’ho preso in prestito in biblioteca (con lo scopo evidente di autoflagellarmi, visto il titolo).

Viaggiavo nel piacere della lettura finché non mi sono imbattuta nel paragrafo dedicato al sesso opposto. Già fin dal principio scricchiola in modo sinistro con “Le vere donne sono…” per poi degenerare in un trambusto pregno del maschilismo più becero cui possiate immaginare - credetemi - estremamente retrogrado anche per essere stato scritto nel ‘34, il che è tutto dire. Non so come sia riuscito a condensare tante porcate in una pagina e mezza di pura agonia. Ho tentato di ignorare il tutto, ma quel fracasso è andato inevitabilmente a detrimento del resto della melodia, che invece merita. Ho perso rispetto verso l’intelligenza dell’autore e interesse, portando a compimento la lettura controvoglia.