A review by diffrazioni
Oppenheimer. Trionfo e caduta dell'inventore della bomba atomica by Kai Bird, Martin Sherwin

5.0

Venticinque

Nel 1979 Martin J. Sherwin firma con l'editore Alfred A. Knopf un contratto per un libro e rassicura il redattore incaricato di seguirlo che avrebbe consegnato il testo di lì a quattro massimo cinque anni. La consegna avviene il 2005, dopo venticinque anni di lavoro.

Certo, la storia del cosiddetto padre della bomba atomica è piena di eventi straordinari ma che il lavoro di Sherwin e Kai Bird sia durato un quarto di secolo lo si legge nelle prime pagine. Mi ha colpito sul momento e mi è tornato in mente quando il libro l'ho finito. Forse ci voleva un lavoro così lungo, così intenso, per riportare a dovere la storia di Robert Oppenheimer.

C'è la vita del fisico, naturalmente, ma c'è anche storia della scienza e, soprattutto, secondo me, c'è storia degli Stati Uniti d'America. Su alcune questioni chiave i due storici non hanno dubbi: le bombe atomiche sono state gettate sul Giappone solamente per mostrare al mondo e all'Unione Sovietica in particolare dove fosse arrivata la potenza di Washington. Altre spiegazioni che sono girate, tipo quella secondo cui la guerra sarebbe stata ancora lunga e sanguinosa, Sherwin e Bird proprio non le prendono in considerazione: hanno tirato fuori troppi documenti che non lasciano spazio al dubbio.

Gli USA volevano fare in fretta: l'Unione Sovietica si era impegnata a dichiarare guerra al Giappone, al 10 agosto 1945, e nessuno credeva che, dopo quella dichiarazione, il Giappone sarebbe andato avanti a combattere. Le bombe dovevano essere lanciate prima.

Un'altra semplificazione che ho sentito girare, a spiegazione della persecuzione che Oppenheimer ha subito, riguarda il suo cosiddetto 'pentimento'. Dopo aver ragionato su quello che aveva fatto, Oppenheimer si sarebbe pentito e avrebbe cercato di ostacolare la costruzione di ulteriori bombe atomiche, cosa che avrebbe irritato il governo statunitense, che dunque ha messo sotto torchio ed emarginato il fisico. Ma non è andata così.

Robert Oppenheimer non si è mai pentito di aver costruito la bomba atomica e neppure di aver contribuito a definire il modo per farla esplodere così che su Hiroshima facesse i maggiori danni possibili. Ma si è opposto con tenacia, questo sì, alla bomba a fusione, la cosiddetta bomba H o, ancora, la Superbomba. Perché riteneva che fosse un'arma troppo potente, che non poteva produrre altro che il genocidio. Per combattere l'idea della bomba H, diceva che era più che sufficiente dotarsi di un adeguato numero di bombe a fissione, come quelle cioè che hanno colpito il Giappone.

La seconda cosa che ha mandato su tutte le furie il governo statunitense è stato l'insistere, da parte di Oppenheimer, sulla necessità di un dialogo con Mosca, per arrivare a un controllo comune, condiviso e internazionale sulle armi atomiche. Un'idea che Oppenheimer sosteneva già dopo la prima esplosione atomica, quella denominata Trinity, nel deserto di Alamogordo, avvenuta il 16 luglio 1945. Gli era chiaro che in mancanza di dialogo, nel mondo sarebbe scattata una folle corsa agli armamenti.

Poi, certo, Oppenheimer è stato perseguitato anche perché un uomo molto potente e molto vicino al presidente Eisenhower, Lewis Strauss, per varie ragioni aveva deciso di rendergli la vita impossibile.

Martin J. Sherwin è morto nel 2021, ha fatto in tempo a prendere il Pulitzer ma non a vedere il film di Cristopher Nolan. All'altro coautore, Kai Bird, chiamato da Sherwin a dargli una mano, l'opera di Nolan è piaciuta parecchio. Si è detto sbalordito e colpito emotivamente e spera che il film alimenti un dibattito su cosa voglia dire vivere nell'era atomica, cosa sia stato il maccartismo (e, aggiungo io, come non possa essere considerato un incidente di percorso ma il frutto di un atteggiamento paranoico degli USA, quando vedono nemici ad ogni angolo).

Non so se "ci piaccia o no", Oppenheimer sia stata "la più importante persona mai vissuta", come ha detto Cristopher Nolan. Penso sia stata una personalità dalla vita molto intensa e molto, molto complessa, una complessità che, a mio giudizio, il film di Nolan non restituisce, ma questo libro sì.